Due giorni fa mi è capitato sott'occhio il giornale locale della mia provincia che in prima pagina riportava la morte di un ragazzo di 36 anni di un paese vicino.
Già il fatto che un mio coetaneo possa lasciarci è sempre una notizia che mi mette addosso una tale inquietudine da farmi fermare un attimo a pensare.
Ma leggendo tutto l'articolo mi si è aperta una voragine sotto i piedi che mi ha inghiottito.
Paolo è morto a seguito di un infarto che lo ha colpito qualche minuto dopo aver tagliato il traguardo della maratona di Milano. Era la sua prima maratona, corsa con il tempo di 3 ore e 55 minuti. Dopo aver raggiunto l'arrivo, il tempo di rendersi conto di avercela fatta e un malore lo colpisce. Subito soccorso muore dopo quasi sei giorni di coma all'ospedale.
Questa la cronaca nuda di quanto è successo.
Ma quello che fa male sono le analogie con quanto ho vissuto.
Era un mio coetaneo.
Abbiamo scelto entrambi Milano per la nostra prima maratona.
Abbiamo fatto tempi simili.
Entrambi abbiamo tagliato il traguardo felici e spossati.
Entrambi dopo pochissimo tempo siamo stati male per lo sforzo.
Solo che a me si è rivoltato lo stomaco, a lui si è spezzato il cuore.
Naturalmente molti diranno che se l'è cercata. Che certi sforzi non si fanno se non si è allenati. Che prima di affrontare certe sfide era meglio accertarsi del proprio stato di salute.
Già in rete si vedono interventi sull'accaduto che, oltre a ricordare l'amico, cercano di mettere in guardia sui rischi che si corrono ad esagerare.
Io non conoscevo Paolo, ma me lo immagino come un ragazzo coscenzioso, che non ha fatto il passo più lungo della gamba, che si è allenato con misura e con diligenza, che aveva fatto le regolari visite mediche e le prove sotto sforzo. Che curava il suo corpo come quella macchina perfetta che è.
Detto questo, rimane solo il fato.
Era destino.
Qualche giorno fa ho scherzato dicendo che raccomandavo l'anima a Filippide: colui che morì dopo aver corso la prima maratona.
Ora questa battuta assume un nuovo sapore amaro.
E ora devo essere consapevole che è toccato a lui, ma poteva tranquillamente toccare anche a me.
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