martedì 21 febbraio 2012

[Padre - Figlio IV] Dolce in famiglia, duro in società

Quarta puntata di un ragionamento ad ampio raggio sul rapporto padre - figlio.
Qui dove si parla della sensibilità del genitore moderno, qui dove paragono l'approccio materno a quello paterno e qui dove si enuncia qualche caposaldo di educazione.


Stavolta lo spunto per una riflessione arriva da un saggio scritto da un professore di psicoanalisi che si ocupa di "diversi approci alla psicoterapia dei sistemi famigliari".
Sembra che voglia spandere, ma faccio subito outing: questo libro non l'ho letto (non credo abbia le figure!) ma ho trovato un post su un blog di un papà molto censapevole del suo ruolo (e che scrive molto bene) che ne parlava.
Ne riporto quasi completamente il post:

Sto leggendo un bel libro di Luigi Zoja, Il gesto di Ettore, dove, fra le altre cose, si parla del 'paradosso del padre'. Forse le citazioni che fra poco seguiranno sono, rispetto all'argomento di cui sto parlando, - per dirla con una bella immagine dello stesso Zoja - come "le increspature nello strato di schiuma che cavalca a sua volta l'onda immensa della storia", ma io ci vedo in ogni caso un bel tratto di unione: "Ci si aspetta che proprio il padre insegni al figlio a essere nella società...laddove i rapporti nella società non sono di solo amore, e neppure di giustizia, ma anche di pura forza", dice l'autore alle pp. 10-11, (ediz. Bollati Boringhieri, 2011). Ma il padre vincente che la tradizione occidentale preferisce "non rischia solo di mancare di moralità. La necessità della forza è anche un limite posto al suo sentimento" (p. 11). Infatti, "il figlio si aspetta dal padre un affetto simile a quello materno, ma questo non esaurisce la sua richiesta. Con me, chiede, sii buono, sii giusto. Amami. Ma con gli altri, sii prima di tutto forte: anche a costo di essere violento, anche a costo di essere ingiusto" (p. 12).
Insomma, il figlio ha, verso il padre, aspettative contrastanti: "in famiglia il padre deve osservare una legge morale; nella società, invece, deve rispettare per prima cosa la legge della forza" (pp. 12.13). E' il 'paradosso del padre', il quale - contrariamente a quanto avviene per la madre, che sarà valutata come tale dal figlio per quello che fa con lui - "non è padre solo per quello che fa con il figlio, ma anche per quello che fa con la società: e le leggi che regolano questi due spazi di azione non sono le stesse". (p. 13). 
La relazione che intravedo fra le parole di Zoja e il mio discorso sull'educazione impartita a gran voce dai maleducati è che questi ultimi sono i 'padri' che amano e che insegnano ai figli a 'comportarsi', 'a stare al mondo': gli stessi che nella società rappresentano una maleducazione e un'arroganza vincenti. Qui, ovviamente, il 'paradosso del padre' o la contraddizione che metto in luce non è tanto psicologica, come quello di cui si parla nel libro, ma sostanziale, fisica e, al massimo, culturale. E' l'educazione privata e che ci si aspetta dagli altri, prima di tutti dai figli, e la maleducazione pubblica, degli adulti, nascosta oppure palese, ma in quest'ultimo caso pubblicamente ignorata.
Termino questo post citando un ultimo, bellissimo paragrafo da Il gesto di Ettore: "Il 'paradosso del padre' è tanto personale, psicologico, indipendente dalle epoche, quanto pubblico e storico. Al centro della civiltà patriarcale europea, penetrata dappertutto prima con la colonizzazione e poi con la globalizzazione, sta infatti anche un secondo paradosso, che altro non è se non la faccia collettiva del primo. Questa società ha adottato come credo il Cristianesimo, e contemporaneamente si è diffusa 'darwinianamente', con la forza. Cioè con la guerra, la rapina, la desertificazione della natura, lo sfruttamento e la sottomissione dei popoli più deboli o semplicemente più pacifici: con la trasgressione planetaria dei comandamenti 'non uccidere', 'non rubare', 'non desiderare la roba d'altri'. In questo senso proprio la civiltà europea, che ha sparso la razionalità sulla Terra, parte da un centro profondamente irrazionale. Come il padre individuale, il suo patriarcato oscilla tra legge dell'amore e legge della forza, ed è ben lontano dal trovare una sintesi" (p. 13). 

La cosa che più mi ha colpito in questo ragionamento è il passaggio dalla sfera personale a quella sociale, cioè il parallelo tra affetto e decisione che deve avere il padre e i valori del cristianesimo e la prevaricazione della società occidentale.

Tornando ad un ragionamento che avevo fatto qualche tempo fa sull'economia mondiale, l'ideale sarebbe che io utilizzassi gli stessi valori che uso con mio figlio, anche nei confronti del mondo esterno.
Se nel rapporto con mio figlio sento la necessità di essere giusto e buono, io dovrei cercare di essere giusto e buono anche nei miei rapporti sociali.
Certo, è difficile e a volte controproducente, ma sono sicuro che è la cosa giusta da insegnare ad un figlio.

1 commento:

  1. Siamo sicuri che ciò che ci spinge ad agire “nel privato” sia diverso da ciò che ci spinge ad agire “nel mondo”?
    Sono convinta che la sfera sociale non sia parallela alla sfera personale e familiare e che tutti i nostri comportamenti siano la manifestazione dei nostri valori.
    E’ vero che vivere in società ci obbliga spesso ad affrontare certe situazioni con forza, ma ciò non significa necessariamente essere prevaricatori.
    Se alla base del nostro agire consideriamo fondamentali la correttezza, la giustizia e il rispetto, difficilmente il nostro stare con altri risulterà un’imposizione.
    Come ben sai non sono un genitore, ma da figlia posso dire che, da un papà o da una mamma, un figlio osserva e cerca di imitare i comportamenti, ascolta gli insegnamenti ma impara anche a cogliere le varie sfumature che sono alla base dietro ogni azione (forza può essere un sinonimo di determinazione ed essere determinati non significa essere insensibili).
    Il piccolino da te e dalla biondina sta imparando sì ad essere giusto e buono, ma anche determinato. E non è sbagliato! La biondina settimana scorsa l’ha definito “saporito” e “cocciuto”, ma “da zia acquisita” mi permetto di difenderlo. E’ un bambino vivace e curioso ma educato (mamma e papà sono due buoni esempi).

    Zia Mary

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